30 marzo 2025: Intervento di ANTO a “Open Experience” tenutosi a Paestum

Buongiorno a tutti. Permettete che mi presenti.

Sono Antonio Capoduro, spastico dalla nascita, laureato in scienze dell’informazione ed attualmente funzionario presso il dipartimento di informatica dell’università degli studi di Milano, membro scientifico dell’Associazione Internazionale di psicologia e psicanalisi dello sport, ex schermidore paralimpico. Nella mia vita mi sono occupato di accessibilità sotto ogni punto di vista: informatica, ergonomica ed attualmente mi occupo di turismo accessibile, perché essendo curioso amo viaggiare e mi sono accorto che in Italia manca una cultura dell’accessibilità per tutti ed intendo farmi promotore di essa. Ed è per questo che ho costituito la associazione nazionale turismo open, di cui sono Presidente. Fra le molte attività che sto portando avanti vi è l’ideazione e la realizzazione del museo della scherma.

A questo punto siamo lieti di presentare la Associazione Nazionale Turismo Open alla nostra prima esperienza fieristica da espositori.  Open è un vocabolo che ha un significato universalmente noto come apertura. Per noi di anto ha un significato profondo di apertura verso un mondo privo di barriere architettoniche, socioculturali e di pregiudizio contestualizzato al mondo della disabilità.

Tema molto importante data l’innalzamento dell’età media della popolazione e con l’amara considerazione che chiunque può trovarsi in una condizione di disabilità anche temporanea; vedete che abbattere le barriere architettoniche è fondamentale per migliorare la qualità di vita di tutti, si pensi agli anziani con un bastone o a un semplice passeggino.

Quando due anni fa abbiamo costituto la associazione la domanda a cui abbiamo cercato di rispondere è stata: “Io posso?”. Per rispondere a questa domanda abbiamo deciso di dare inizio a un lavoro di mappatura di tutte le possibili attrazioni turistiche che di volta in volta capita di visitare e di mettere il materiale raccolto, arricchito da informazioni storiche geografiche, sul nostro sito per condividerlo con i nostri lettori ed aiutare i turisti con disabilità e non solo ad essere consapevoli delle eventuali difficoltà e criticità a cui andranno incontro visitando i luoghi catalogati e visitati da ANTO.

Open, ha anche un altro significato che, in questo frangente, è contestualizzato perfettamente nell’aria aperta ed ANTO ha già individuato due percorsi accessibili che trovate sul sito; il primo è completamente accessibile realizzato dal nostro Partner Ideanatura snc e si trova nella patria della ceramica modenese tra Castellarano e Sassuolo, esattamente a Nirano, dove sono presenti dei piccoli vulcanetti nel contesto delle “Salse di Nirano” ove è possibile ammirare un paesaggio lunare con crateri argillosi e brulli. Il percorso è accessibile con una passerella ecosostenibile realizzata in legno con istruzioni anche in Braille che descrivono il paesaggio.

Il secondo percorso naturalistico accessibile in condizioni meteo idoneo a passeggiate individuato da ANTO è localizzato a Dueville in provincia di Vicenza, esattamente alle Risorgive del Bacchiglione, dove acqua e natura uniscono perfettamente e generano una sensazione di benessere incredibile immerso tra il silenzio, il rumore delle acque e canti di uccelli. Il terreno è ben battuto e questo rende la full immersion naturale accessibile a persone in carrozzina.

Il terzo percorso accessibile non ancora sul sito si trova nella valle del fiume Secchia in provincia di Reggio nell’Emilia esattamente a Poiano, frazione di Villa Minozzo. Le  “Salse di Poiano” sono delle sorgenti di acqua Caustiche. Anche in questo caso lungo il percorso è presente una passerella in materiale ecosostenibile e terreno battuto. Acqua salina freddissima che sgorga dalla roccia del monte.

La Associazione Nazionale Turismo Open intende fare del vastissimo patrimonio artistico, culturale e paesaggistico accessibile una risorsa economica e sociale all’insegna dell’apertura a tutte le persone, disabili e no, perché come ho detto in un recente convegno di psicologia e sport, tutti noi abbiamo una disabilità intrinseca dettata dalla nostra personalità.

Far crescere la cultura dell’accessibilità a 360° significa migliorare la qualità della vita di tutte le persone facendo una mappatura dell’intero territorio, sensibilizzando associazioni, autorità e politica locale, settore produttivo, ristorazione, alberghiere e aziende a fare del turismo accessibile una grande risorsa economica ed umana. Creare una rete di informatori è una fondamentale fonte di crescita per tutti. Ed è per questo che abbiamo aderito a questo bellissimo evento fieristico.

Grazie a tutti

Corbetta 22 marzo 2025 – Benessere e disabilità: tra sport e bellezza

Intervento di Antonio Capoduro

Buongiorno a tutti,

                                       ringrazio gli organizzatori per avermi invitato e spronato ad essere presente a questo importante convegno, nonostante in questo periodo sia in difficoltà fisica e mentale.

Il mio intervento ha come titolo: “Benessere e disabilita: tra sport e bellezza”, perché ritrovo nello sport e nella bellezza i presupposti per generare benessere fisico e mentale in tutte le persone, in particolare alle persone con disabilità. Lo scopo del mio intervento è quello di dimostrare come lo sport e la bellezza vadano di pari passo anche se apparentemente sono due argomenti completamente differenti.

Mi presento, sono Antonio Capoduro, spastico dalla nascita, fino all’età di due anni tutti i pediatri, psicologi e psichiatri consultati mi avevano prospettato un futuro in stato vegetativo, incapace di intendere e volere. I miei genitori non hanno mai creduto a questa tesi catastrofica e grazie alla loro tenacia e alla mia caparbiotà e desiderio di superare qualunque ostacolo che la vita mi si presentava di volta in volta; sono riuscito a rendermi autonomo sia fisicamente che economicamente. Sono laureato in scienze dell’informazione, attualmente sono funzionario presso il dipartimento di informatica dell’università di Milano dove sono responsabile del sito dipartimentale e sono orgoglioso di poter essere qui a raccontare perché sport e bellezza generano benessere.

Conosco Giovanni Lodetti da oltre vent’anni, il quale mi ha proposto di collaborare con AIPPS, a cui credo di aver potuto dare il mio contributo, ho portato avanti e credo di continuare a farlo attraverso l’dea che la disabilità non sia una condizione di svantaggio, bensì una sfida che aiuta tutte le persone a vivere meglio ed a guardare la condizione di disagio come una risorsa, perché se ci pensiamo bene, ognuno di noi ha una disabilità intrinseca, altrimenti saremmo tutti uguali. Giovanni mi ha condotto per mano nel mondo della scherma. Cercherò di essere sintetico perché, come detto all’inizio sono in un momento di difficoltà fisica e visiva.

Sono diventato un atleta a livello agonistico, classificato nella categoria C. Il passaggio dall’essere in allenamento con i propri compagni di palestra all’agonismo è complesso perché in palestra vincere o perdere non era fondamentale, nelle gare agonistiche invece si sprigiona il proprio io, l’essere io che si deve battere contro un altro io. Lo scontro basate sulle regole schermistiche diventano un motivo potente di sfida e di stimolo a riuscire a vincere contro il proprio avversario.

Avversari che possono avere caratteristiche e disabilità completamente diverse dalle mie, io avendo distonie faccio molta fatica a tenere il capo nella direzione giusta soprattutto in regime di tensione e questo mi faceva perdere parecchi punti oppure arrivava una distonia al momento dell’affondo e venivi colpito dall’avversario e qui arriva un certo senso di frustrazione e impotenza.

Essere atleti agonisti significa combattere senza perdere la concentrazione, significa capire il punto debole dell’avversario, esattamente come accade nel tennis o negli altri sport uno ad uno. Quando scopri che il punto debole dell’avversario è ad esempio la parata di seconda, allora si è consapevoli di aver trovato un passaggio per affondare il colpo, nel frattempo però l’avversario corre ai ripari e cerca un mio punto debole. Il mio punto debole era la copertura del capo ed avevano campo largo per affondare colpi.

La psicologia legata allo sport e alle sue regole è fondamentale sia a livello agonistico che in regime di esercizio perché aiuta ad affrontare la sfida nel modo più corretto e coerente possibile. La sfida nello sport diventa paradossalmente la sfida nella vita. L’essere stato a contatto con bambini attraverso l’Associazione In Crescita ASD ed ancora prima l’aver portato la scherma nel progetto europeo TR4ST “The rules for sport talents”, che ha potato a redigere la carta etica dello sport, ha fatto maturare in me la consapevolezza che lo sport debba essere uno strumento di crescita, un momento di aggregazione senza barriere, ha portato in me a sviluppare dei modelli di vita basati sulla condivisione di ogni situazione seguendo le regole del gioco. Gioco che può gioia, dolore, rabbia, delusione e frustrazione. La sfida non è vincere sempre, la sfida è partecipare, arricchirsi emotivamente, diventare consapevoli dei propri limiti e superarli, essere consci dei propri punti di forza e sfruttarli cercando di ottimizzare ogni sforzo. La psicologia applicata allo sport è un momento di crescita collettivo, la scherma ha un punto di forza unico ed ineccepibile: chiunque può praticarla. Questa è la potenza della scherma. Il messaggio schermistico può essere visto come uno strumento di vita, di business e di crescita. Quindi lo sport e la sua lettura in chiave psicologico genera benessere.

Ora vorrei fare una piccola considerazione circa le classificazioni della scherma paralimpica, sappiamo che ci sono tre categorie:

  • A: atleti con il movimento del tronco pieno e buon equilibrio;
  • B: atleti senza movimento delle gambe, ridotta funzionalità del tronco e scarso equilibrio;
  • C: atleti con disabilità in tutti e quattro arti.

Ho accennato poco fa alla mia classificazione schermistica da atleta agonista e devo essere sincero, i criteri di classificazioni andrebbero equilibrati meglio, perché molto spesso mi sono trovato a combattere contro avversari che erano classificati come C, ma in realtà erano B. Tutti gli atleti che non rientrano nelle prime due categorie, che sono abbastanza chiare, vengono messi ingiustamente nel calderone C. Capisco sulla necessità di pragmatismo, ma se è vero che possiedo disabilità in tutti e quattro gli arti, ed oltre a questo non possiedo la motricità fine degli arti e del capo, voi capite che manca un pezzo di regolamento. Quindi in molte gare mi sono sentito a disagio a causa di una classificazione incoerente con le mie caratteristiche fisiche, generando frustrazione sportiva. Andrebbero specificate meglio le tre classi di disabilità e finisco facendo notare che nella categoria C non si fa minimamente accenno alla mobilità del tronco.

Sono qui anche in qualità di Presidente dell’Associazione Nazionale Turismo Open che ha come obiettivo principale informare i turisti con disabilità circa il grado di accessibilità delle varie mete e renderli consapevoli delle varie difficoltà in cui vanno a trovarsi quando vanno a visitare la bellezza dei vari luoghi e trovarsi preparate per generare benessere. Faccio due esempi per spiegarmi meglio.

La Chiesa di San Maurizio a Milano è considerata la cappella sistina milanese, anche se è un confronto improbabile, tuttavia per accedere come si fa dal momento che all’ingresso ci sono diversi scalini? Si entra dall’ingresso del museo archeologico adiacente ad essa e qui si trova l’entrata accessibile a persone con disabilità e al suo interno è perfettamente consultabile ed è emozionante vedere l’inaspettata bellezza degli affreschi che si trovano all’interno. Mentre la Cattedrale di Piacenza che ospita al suo interno gli affreschi del Guercino, non è accessibile in nessun modo. E qui subentra il famoso senso di frustrazione espresso in precedenza dal mondo sportivo. Io turista con disabilità non posso godere del benessere generato dalla bellezza del Guercino a causa di barriere architettoniche? E badate bene tutti possono trovarsi in condizioni di disabilità anche temporanea. La bellezza dell’arte, della musica e paesaggistica generano in noi il famoso benessere.

Bene, la Associazione Nazionale Turismo Open intende rendere tutti consapevoli sulle difficoltà a cui si va incontro quando si visitano luoghi di qualsiasi genere.

Da ultimo desidero far presente che il museo della Scherma intitolato al M° Marcello Lodetti, da me proposto a Giovanni intende fare una meravigliosa sinergia tra sport e bellezza all’insegna del benessere.

Grazie a tutti e grazie a Giovanni per avermi dato la voce.

Basilica di Santa Maria Novella

Dove si trova

Un po’ di storia

La Basilica di Santa Maria Novella è una delle più importanti chiese di Firenze e sorge sull’omonima piazza. Se Santa Croce era ed è un centro antichissimo di cultura francescana e Santo Spirito ospitava l’ordine agostiniano, Santa Maria Novella era per Firenze il punto di riferimento per un altro importante ordine mendicante, i domenicani. Nel 1219 dodici domenicani arrivarono a Firenze da Bologna, seguiti da Frate Giovanni da Salerno. Nel 1221, ottennero la piccola chiesa di Santa Maria delle Vigne, così chiamata per i terreni agricoli che la circondavano (all’epoca fuori dalle mura). Questa chiesetta, di proprietà dei canonici del Duomo, era stata consacrata nel 1049 o, secondo altre fonti, nel 1094, anche se questa seconda ipotesi è più probabile, poiché nell’Archivio Capitolare della cattedrale fiorentina è conservato un documento che menziona questa data. Ad ogni modo, della chiesetta antica sono stati trovati alcuni resti sotto l’attuale sacrestia, in particolare le basi di alcuni pilastri romanici.

Nel 1242 la comunità domenicana fiorentina decise di iniziare i lavori per un nuovo e più ampio edificio, ottenendo dal papa la concessione di indulgenze per chi avesse contribuito economicamente ai lavori già a partire dal 1246. Il 18 ottobre 1279, durante la festa di San Luca, venne celebrata nella cappella Gondi la cerimonia della posa della prima pietra con la benedizione del cardinale Latino Malabranca Orsini, anche se di fatto i lavori erano già da tempo iniziati. La nuova chiesa aveva la facciata orientata verso sud. La costruzione fu completata nella metà del XIV secolo.

Il progetto, secondo fonti documentarie molto controverse[ si deve a due frati domenicani, fra’ Sisto da Firenze e fra Ristoro da Campi, ma partecipò all’edificazione anche fra’ Jacopo Passavanti, mentre il campanile e buona parte del convento si deve all’intervento immediatamente successivo di fra’ Jacopo Talenti e di Benci di Cione Dami. La chiesa, sebbene già conclusa verso la metà del Trecento con la costruzione dell’adiacente convento, fu tuttavia ufficialmente consacrata solo nel 1420 da papa Martino V che risiedeva in città.

Su commissione della famiglia Rucellai, Leon Battista Alberti disegnò il grande portale centrale, la trabeazione e il completamento superiore della facciata, in marmo bianco e verde scuro di Prato (serpentino), terminata nel 1470. Dopo il Concilio di Trento, tra il 1565 e il 1571 la chiesa fu rimaneggiata ad opera di Giorgio Vasari, con la rimozione del recinto del coro e la ricostruzione degli altari laterali, che comportò l’accorciamento delle finestre gotiche. Tra il 1575 e il 1577 fu costruita da Giovanni Antonio Dosio la cappella Gaddi. Un ulteriore rimaneggiamento si ebbe tra il 1858 e il 1860 ad opera dell’architetto Enrico Romoli.

Il primo intervento si ebbe verso il 1350, quando il registro inferiore fu ricoperto di marmi bianchi e verdi grazie ai fondi da un tale Turino del Baldese deceduto due anni prima. In quella circostanza furono fatti i sei avelli o arche tombali, i due portali laterali gotici e, forse, anche l’ornamentazione marmorea a riquadri e archetti ciechi a tutto sesto fino al primo cornicione, che assomigliano a quelli del battistero di San Giovanni. L’oculo più in alto risulta aperto dal 1367.

I lavori in seguito si interruppero e durante il Concilio di Firenze, che si tenne anche nel convento dal 1439, venne ribadita la necessità di provvedere al completamento della facciata. Solo un ventennio dopo si offrì il ricco mercante Giovanni di Paolo Rucellai, che ne affidò il progetto al suo architetto di fiducia, Leon Battista Alberti.

Note sull’accessibilità

Questa meravigliosa basilica è resa accessibile a persone con disabilità motoria attraverso l’ingresso laterale sinistro che presenta una piccolo portone e posto in fotografia.

Svoltando a destra si accede direttamente al chiostro. Il resto della Basilica è interamente accessibile, con qualche leggerissima pendenza per accedere all’interno della basilica dal chiostro.

In esplorazione al BIT Rho Milano Fiera 2025

ANTO nel tentativo di creare una rete di collaboratori/informatori e farsi conoscere le attività associative con il presidente e la segretaria è andato alla fiera del turismo più importante d’Italia.

Abbiamo esplorato per lo più il padiglione italiano e ci siamo lustrati gli occhi di quante meraviglie sono presenti nel nostro paese e di quanto sia difficile rendere l’Italia più aperta verso le persone con difficoltà. In alcuni casi non si può intervenire, ad esempio sulle montagne e sulle scogliere; in altri casi si può e si deve intervenire per migliorare il turismo accessibile. Ma partiamo dalle basi.

Le basi sono l’accessibilità ai vari stand presenti in fiera. Per una persona in carrozzina i banconi degli stand dove vengono collocate le brochure e i volantini sono troppo alti, quindi già apprendiamo una discriminazione, perché evidentemente chi opera nel settore ignora le problematiche sin da principio, ovvero dall’esposizione delle bellezze territoriali e attrazioni turistiche. Risultato di questo ostacolo è che il Presidente in carrozzina si doveva alzare in piedi in modo precario per vedere il materiale presente sul bancone ed ascoltare le parole degli addetti agli stand.

Ma alla domanda chiave: avete materiale riguardante l’accessibilità dei luoghi, ecco che la maggior parte degli operatori si trovavano in difficoltà perché nessuno aveva qualcosa di specifico da mostrare al pubblico se non inquadrare il qrcode e accedere al sito e cercare la sezione dedicata all’accessibilità. La Associazione Nazionale Turismo Open si rende conto che il turismo è soprattutto per persone normodotate, ma l’Istituto Nazionale di statistica ha calcolato che le persone con disabilità sono oltre tre milioni senza contare le persone con disabilità temporanea; ma ignorare che esista una fetta di popolazione che ha difficoltà di deambulazione, sensoriale o altro è molto grave per un paese che possiede il maggior numero di luoghi ad altissimo interesse turistico del mondo.

Abbiamo trovato qualcosa sparso, ma nulla di realmente importante ed organizzato. Ecco perché ritengo che il lavoro intrapreso dall’Associazione Nazionale Turismo Open sia importante, sarebbe opportuno che il Ministero del Turismo censisse tutti i luoghi accessibili e li rendesse disponibili, ma parlando con il responsabile dello stand del Ministero ha spiegato che esistono solo dei progetti accessibili e se i progetti si presentano agli uffici di competenza ministeriale allora può essere che possa venire in soccorso lo stato, ma sappiamo come funziona l’apparato burocratico italiano.

Risultato finale di questa indagine presso il BIT di Rho Fiera Milano è che qualcosa si sta facendo, ma sono singole associazioni e stazioni balneari (hotel e bagni). La Associazione Nazionale Turismo Open promuove qualsiasi azione che sia rivolta all’accessibilità. Un percorso interessante ed affascinante, ma anche complesso e variegato.

Antonio Capoduro
Presidente Associazione Nazionale Turismo Open

Museo d’arte orientale Edoardo Chiossone

L’edificio museale fu progettato dal noto architetto Mario Labò (1884-1961), costruito tra il 1953 e il 1967 e inaugurato poi nel 1971.

Dove si trova

Si tratta di una straordinario esempio di architettura razionalista in cemento armato, formato da un avancorpo, da cui si accede in atrio e biglietteria e il cui tetto forma una terrazza panoramica; il corpo principale, di pianta rettangolare, è un magnifico spazio a volume unico con un salone al piano terreno e cinque gallerie a sbalzo sulle due pareti lunghe, collegate da rampe di scale in ferro e legno formanti un percorso continuo. Ideato appositamente per accogliere la collezione di arte orientale, il progetto di Labò presenta chiari riferimenti, nella modulazione degli spazi e nella scelta dei materiali, alla architettura tradizionale giapponese.

Il percorso inizia nel Salone, dove sono esposte le grandi sculture in bronzo provenienti da templi buddhisti, risalenti ai secoli XVII- XVIII. Salendo la scala sul lato destro, si accede alla Prima Galleria, dedicata alla nascita e allo sviluppo della civiltà e della cultura artistica giapponese. Qui troviamo reperti archeologici dei periodi Yayoi (ca. 300 a. C. – 300 d.C.) e Kofun (300 – 710 d.C.) e specchi rituali in bronzo cinesi e giapponesi: queste opere testimoniano i rapporti del Giappone con l’Asia Orientale Continentale e l’evoluzione della metallotecnica. Le vetrine dalla 3 alla 7 sono dedicate all’arte buddhista, mentre nelle ultime due vetrine sono esposte opere rappresentative della civiltà dei samurai. Da qui ci possiamo affacciare sulla galleria di fronte, la quinta, che raggiungeremo a fine percorso, e osservare nel suo insieme le tredici grandi armature giapponesi oyoroi, complete ed equipaggiate con armi.

Proseguendo saliamo nella Seconda Galleria, dedicata allo sviluppo delle arti decorative nel periodo Edo (1600-1868). Troviamo le opere di scultura lignea di soggetto buddhista nelle vetrine 10 e 11, mentre nelle due vetrine successive sono esposte le maschere teatrali in legno scolpito del teatro tradizionale giapponese Nō. Si susseguono poi nel percorso le categorie delle arti applicate cinesi e giapponesi: gli smalti cloisonné, le porcellane, le lacche. Nell’ultima vetrina è esposta una selezione di inrō e netsuke: un piccolo astuccio e il suo ciondolo, accessori dell’abbigliamento maschile del periodo Edo.

Maggiori informazioni storiche si possono trovare a questo link.

Note sull’accessibilità. Il Museo risponde.

Il museo Chiossone è situato all’interno di un parco pubblico, locato su una collina e per raggiungerlo è necessario seguire un sentiero in salita che è dichiarato non accessibile per persone con elevata disabilità motoria. Per ovviare a questa problematica, nel caso di gruppi organizzati e associazioni, possiamo concordare l’arrivo del mezzo proprio fino a davanti al museo, autorizzando un permesso speciale per ingresso nel parco (con auto/un piccolo pulmino).

Il museo presenta un ingresso con gradini e una rampa laterale (che non è percorribile in autonomia in carrozzina ma consente di spingere la carrozzina all’accompagnatore fino all’ingresso.

Il piano terra (atrio, biglietteria, servizi igienici, primo salone espositivo) sono accessibili per persone con disabilità motoria. Il resto del museo si sviluppa su gallerie collegate da scale, quindi tutto il resto dell’esposizione non è accessibile.

Non abbiamo supporti di visita per disabilità visiva o cognitiva.

Possiamo concordare attività dedicate per gruppi e associazioni in accordo con i nostri Sistemi Educativi del Comune di Genova (in passato abbiamo realizzato attività con ASM, persone affette da Alzheimer e demenza senile, disabilità visiva, disabilità intellettiva lieve e disabilità motoria lieve).

La terrazza del museo, raggiungibile dall’interno del museo con una rampa di scale, è accessibile dall’esterno, attraverso una rampa idonea per persone in carrozzina in autonomia, con accesso diretto dal sentiero che circonda il museo: per raggiungere la terrazza, in caso di eventi speciali, può essere coordinato con noi l’arrivo del mezzo proprio fin davanti alla rampa, autorizzando un permesso speciale per ingresso nel parco (con auto/un piccolo pulmino).

L’ingresso è gratuito per

•    disabili su presentazione della Disability Card Europea o idonea certificazione,
•    accompagnatore disabili

Presentato il Museo Virtuale e Multimediale M° Marcello Lodetti

Milano, 5 febbraio 2025 presso la Sala Conferenze del CONI Lombardia è stato presentato il Museo Virtuale Multimediale intitolato al Maestro Marcello Lodetti alla presenza delle maggiori autorità sportive e non solo.

Il volantino dell’evento

Tutti i presenti hanno sottolineato l’importanza del M° Marcello Lodetti, un maestro che ha saputo dare imprimere alla scherma una chiave non solo agonistica, ma anche pedagogica.

Marco Riva, Presidente del CONI Lombardia

Lorenzo Ravazzani, Presidente Federazione Italiana Scherma Lombardia

Sissi Albini, Consigliera Nazionale del FIS che ha portato i saluti e gli auguri della FIS Nazionale Lorenzo Mazzone.

Antonio Capoduro, presidente dell’Associazione Nazionale Turismo Open, principale ideatore del Museo, ha spiegato come vedrete nelle slide le motivazioni della proposta.

Giovanni Lodetti, figlio di Marcello Lodetti e presidente dell’Associazione Internazionale di Psicologia e Psicanalisi dello sport.

Al termine è intervenuto Luca De Nardo Vicepresidente dell’Associazione Nazionale Turismo Open che ha spiegato in modo molto razionale a cosa serve ANTO e perché è nato.

Ci sono stati anche interventi da remoto registrati perché impossibilitati a presenziare.

Federica Picchi, Assessora allo Sport della Regione Lombardia

Sergio Giuntini, Presidente della Società Italiana Storici dello Sport

Lisa Noja, Consigliera alla Regione Lombardia.

Da ultimo è stato proiettato il video di cosa dovrà trasmettere il museo Virtuale e Multimediale dedicato al Maestro Marcello Lodetti.

Il Museo ha il patrocinio di:

Ateneo dell’Università degli studi di Milano, Panathlon International, CONI Lombardia, Federazione Italiana Scherma Lombardia, Comitato Paralimpico Lombardia, Società Italiana di storia dello Sport, Associazione Internazionale Psicologia e Psicanalisi dello Sport, Federazione Italiana dello Sport Universitario, Dipartimento di Informatica dell’Università degli Studi di Milano, Unione Nazionale Veterani dello Sport.

I luoghi della Shoah

Fondazione Memoriale della Shoah – Binario 21, Italia

Memoriale delle Deportazioni, Italia

Memoriale della Shoah Bologna, Italia

Risiera di San Sabba, Italia

Quartiere ebraico di Venezia, Italia

Museo ebraico di Roma, Italia

Complesso Museale Ebraico di Casale Monferrato, Italia

Fossoli, Italia

Museo della Memoria Ferramonti di Tarsia, Italia

Museo Diffuso di Torino, Italia

Pitigliano, Italia

Campo di internamento di Urbisaglia, Italia

Casa della memoria di Servigliano, Italia

Auschwitz-Birkenau, Polonia

Buchenwald, Germania

Mauthausen, Austria

Dachau, Germania

Bergen-Belsen, Germania

Museo Ebraico di Berlino, Germania

Memoriale della Shoah, Germania

Yad Vashem, Israele

La Casa di Anna Frank, Paesi Bassi

Il Ghetto di Varsavia, Polonia

La Fabbrica di Schindler, Polonia

United States Holocaust Museum, USA

Il Memoriale della Shoah di Parigi, Francia

Pietre d’inciampo in Europa

Memoriale agli omosessuali perseguitati sotto il nazismo, Germania

Memoriale per i Sinti e i Rom vittime del Nazionalsocialismo, Germania

Jüdischer Friedhof Berlin-Weißensee, Germania

Blindenwerkstatt Otto Weidt, Germania

Gleis 17 Memorial, Germania

Sonnenstein Euthanasia Centre, Germania

Memoriale della Rosa Bianca, Germania

Hadamar Euthanasia Center, Germania

Wannsee, Villa Minoux, Germania

Illinois Holocaust Museum & Education Center, USA

ANTO per il 27 gennaio

In una giornata come questa, ed avendo l’onore di avere come Partner la Fondazione Fossoli, la Associazione Nazionale Turismo Open non poteva non partire dalle parole di Primo Levi che descrive la partenza da Fossoli dove era tenuto prigioniero che potete leggere a questo link. Abbiamo fatto un’intervista a Manuela Guazzoni, Presidentessa della Fondazione Fossoli che trovate a questo link.

I luoghi da visitare

In una giornata come questa a distanza di esattamente 80 anni dall’arrivo dei sovietici a liberare il campo di sterminio più grande del mondo Aushwitz in Polonia, la Associazione Nazionale Turismo Open, avendo visitato il Memoriale della Shoah ed avendone fatto una recensione che potete trovare a questo link, porta avanti con forza, oggi più che mai ideali antisemite, antirazziali e si batterà sempre per un uso appropriato del linguaggio, sia da parte della politica nazionale ed internazionale che, soprattutto, da parte dei giornalisti che troppo spesso introducono nel lessico corrente dei vocaboli non consoni al contesto. Oggi più che mai ci si imbatte in parole come genocidio come se fosse normale. La Associazione Nazionale Turismo Open trae dal vocabolario Treccani Online il significato della parola secondo cui il genocidio si definisce come: “Grave crimine, di cui possono rendersi colpevoli singoli individui oppure organismi statali, consistente nella metodica distruzione di un gruppo etnico, razziale o religioso, compiuta attraverso lo sterminio degli individui, la dissociazione e dispersione dei gruppi familiari, l’imposizione della sterilizzazione e della prevenzione delle nascite, lo scardinamento di tutte le istituzioni sociali, politiche, religiose, culturali, la distruzione di monumenti storici e di documenti d’archivio, ecc.”. Troppo spesso si usa in modo abnorme questo vocabolo orrendo con troppa e superficialità.

Infine l’Associazione Nazionale Turismo Open intende ricordare una figura importante come Furio Colombo che da parlamentare Nel 2000 fu l’ideatore e primo firmatario della legge 211, da lui voluta, che istituì il 27 gennaio come “Giorno della Memoria”.

Da ultimo invitiamo i nostri lettori a seguire il canale YouTube della Fondazioni Fossoli ricca di testimonianze e ricordi.

I temi della memoria sono moltissimi e non si possono raccontare in poche righe come questo articolo, quando esiste una sterminata bibliografia storica che ripercorre tutte le sfaccettature; penso alle leggi razziali in Italia, penso alle famigerate Aktion T4, penso agli esperimenti del dott. Mengele, penso all’orrenda condizione di vita nei lager, penso alla razionalità di Eichmann quando gli venne chiesto  di elaborare un piano per ammazzare il maggior numero di persone con il minor costo possibile, penso, penso, penso… per non dimenticare.

La Associazione Nazionale Turismo Open non dimentica.

Antonio Capoduro
Presidente Associazione Nazionale Turismo Open.

5 febbraio: Presentazione Museo della scherma

Antonio Capoduro e Giovanni Lodetti invitano la S.V. presso la “Sala A” della sede Lombarda del CONI in via Piranesi 46 Milano il giorno 5 febbraio 2025 alle ore 17.45 per la presentazione del “Museo della Scherma M° Marcello Lodetti”.

Con 50 medaglie d’oro (l’ultima a Parigi nel 2024) e un totale di 135 nella storia delle Olimpiadi, l’Italia è la nazione al mondo con più titoli nella scherma, con vittorie a maggioranza femminile. Un omaggio a questa eccellenza poco riconosciuta è il nuovo Museo della Scherma M° Marcello Lodetti, struttura virtuale e multimediale, che sarà presto disponibile grazie a 9 patrocini di enti nazionali e all’ideazione e sviluppo di ANTO, Associazione Nazionale Turismo Open, il cui fondatore e presidente è Antonio Capoduro, ex schermidore in carrozzina della Sala di Scherma del Maestro Marcello Lodetti.

“Abbiamo il fior fiore del medagliere olimpico, manca però uno strumento per raccontare a bambini, studenti, genitori e sportivi il valore di queste tre discipline: fioretto, spada e sciabola. Io, affetto da disabilità motoria importante, l’ho scelta nella mia vita per i benefici fisico, psicologico ed etico. Ecco, volevo che anche gli altri sapessero che cos’è la scherma con uno spazio virtuale e interattivo.”

Nella struttura digitale e multimediale accessibile, il nuovo Museo della scherma M° Marcello Lodetti avrà sì l’esposizione di reperti, ma anche simulazioni e situazioni virtuali per trasmettere l’essenza del praticare questo sport.

“In primo luogo, il museo si impegna a esplorare il passato della scherma ­– racconta il presidente di ANTO ­– Narreremo la sua evoluzione attraverso i secoli e metteremo in evidenza il ruolo storico della scherma come strumento di difesa, duello e competizione. Con l’aiuto di reperti archeologici, manoscritti antichi e simulazioni virtuali, i visitatori saranno trasportati indietro nel tempo per comprendere l’importanza e l’impatto della scherma.”

Da sport d’élite a pratica popolare a livello globale, la scherma troverà nel nuovo Museo testimonianze di atleti di spicco, analisi dei moderni metodi di allenamento e proiezioni delle competizioni internazionali. Il valore storico del museo sarà gestito dal professor Sergio Giuntini, Presidente della Società Italiana Storici dello Sport, mentre la sezione scientifica sarà curata dal maestro Giovanni Lodetti, figlio di Marcello Lodetti e ricercatore nel campo della scherma.

CHI È ANTONIO CAPODURO

Laureato in Scienze dell’Informazione all’Università degli Studi di Milano, spastico dalla nascita, vive e lavora a Milano presso il Dipartimento di Informatica; ha sempre operato per migliorare la qualità della vita delle persone con disabilità, partendo dall’accessibilità informatica, al mondo dello sport e attualmente al settore turistico. Collaboratore scientifico di AIPPS cui Presidente è Giovanni Lodetti, con cui ha condiviso molti lavori, ha preso parte a numerosi convegni e sviluppato insieme a partner europei la “Carta etica dello sport” nell’ambito di un Progetto Europeo; è fondatore e presidente di ANTO-Associazione Nazionale Turismo Open.

COS’È ANTO E PERCHÈ UN MUSEO DELLO SPORT

E’ un Ente del Terzo Settore; come Organizzazione di Volontariato (disciplinata da statuto e che agisce nei limiti del D.Lgs. 117/2017) persegue la diffusione della cultura dell’accessibilità a luoghi e servizi in cui si svolgono attività ed esperienze turistiche. Non solo e non tanto per superare barriere architettoniche, ma progettare la fruizione di realtà pubbliche e private, di tutte le dimensioni economiche in funzione dell’accoglienza. In questo senso, l’approccio virtuale e multimediale di un Museo come il Museo della Scherma M° Marcello Lodetti vuol essere il caso-studio, il principio-guida di ogni museo aperto, cioè OPEN a pubblici differenti per capacità fisiche, mentali, culturali.

CHI È GIOVANNI LODETTI
Giovanni Lodetti ha elaborato le discipline che regolano tutte le implicazioni psicologiche e pedagogiche allo sport di cui AIPPS da trent’anni ne è consapevole. Un’esperienza che ha permesso lo sviluppo di ricerche e progetti sul campo sfociati nella nascita della – Psicologia clinica dello sport – che nel 2007 è stata riconosciuta nel Congresso EFPA di Praga. Attraverso poi lo sviluppo di un modello operativo di “Ecologia della mente e dello sport”, concluso con un Manifesto attuativo nel 2013 si è avuto il pieno sviluppo di un Welfare dello sport che sfocia in un luogo di studio come “Area Lodetti”, attualmente Docenza in benessere sociale attraverso il movimento fisico presso il Dipartimento di Scienze motorie dell’Università degli Studi di Milano.

PATROCINI

Ateneo dell’Università degli studi di Milano, Panathlon International, CONI Lombardia, Federazione Italiana Scherma Lombardia, Comitato Paralimpico Lombardia, Società Italiana di storia dello Sport, Associazione Internazionale Psicologia e Psicanalisi dello Sport, Federazione Italiana dello Sport Universitario, Dipartimento di Informatica dell’Università degli Studi di Milano, Unione Nazionale Veterani dello Sport.

Se questo è un uomo – Primo Levi – La Partenza da Fossoli

Come ebreo, venni inviato a Fossoli, presso Modena, dove un vasto campo di internamento, già destinato ai prigionieri di guerra inglesi e americani, andava raccogliendo gli appartenenti alle numerose categorie di persone non gradite al neonato governo fascista repubblicano.

Al momento del mio arrivo, e cioè alla fine del gennaio 1944, gli ebrei italiani nel campo erano centocinquanta circa, ma entro poche settimane il loro numero giunse a oltre seicento. Si trattava per lo più di intere famiglie, catturate dai fascisti o dai nazisti per loro imprudenza, o in seguito a delazione. Alcuni pochi si erano consegnati spontaneamente, o perché ridotti alla disperazione dalla vita randagia, o perché privi di mezzi, o per non separarsi da un congiunto catturato, o anche, assurdamente, per “mettersi in ordine con la legge”. V’erano inoltre un centinaio di militari jugoslavi internati, e alcuni altri stranieri considerati politicamente sospetti. (…)

Ma il mattino del 21 si seppe che l’indomani gli ebrei sarebbero partiti. Tutti: nessuna eccezione. Anche i bambini, anche i vecchi, anche i malati. Per dove, non si sapeva. Prepararsi per quindici giorni di viaggio. Per ognuno che fosse mancato all’appello, dieci sarebbero stati fucilati.

Soltanto una minoranza di ingenui e di illusi si ostinò nella speranza: noi avevamo parlato a lungo coi profughi polacchi e croati, e sapevamo che cosa volesse dire partire.

Nei riguardi dei condannati a morte, la tradizione prescrive un austero cerimoniale, atto a mettere in evidenza come ogni passione e ogni collera siano ormai spente, e come l’atto di giustizia non rappresenti che un triste dovere verso la società, tale da potere accompagnarsi a pietà verso la vittima da parte dello stesso giustiziere. Si evita perciò al condannato ogni cura estranea, gli si concede la solitudine, e, ove lo desideri, ogni conforto spirituale, si procura insomma che egli non senta intorno a sé l’odio o l’arbitrio, ma la necessità e la giustizia, e, insieme con la punizione, il perdono.

Ma a noi questo non fu concesso, perché eravamo troppi, e il tempo era poco, e poi, finalmente, di che cosa avremmo dovuto pentirci, e di che cosa venir perdonati? Il commissario italiano dispose dunque che tutti i servizi continuassero a funzionare fino all’annunzio definitivo; la cucina rimase perciò in efficienza, le corvées di pulizia lavorarono come di consueto, e perfino i maestri e i professori della piccola scuola tennero lezione a sera, come ogni giorno. Ma ai bambini quella sera non fu assegnato compito.

E venne la notte, e fu una notte tale, che si conobbe che occhi umani non avrebbero dovuto assistervi e sopravvivere. Tutti sentirono questo: nessuno dei guardiani, né italiani né tedeschi, ebbe animo di venire a vedere che cosa fanno gli uomini quando sanno di dover morire.

Ognuno si congedò dalla vita nel modo che più gli si addiceva.

Alcuni pregarono, altri bevvero oltre misura, altri si inebriarono di nefanda ultima passione. Ma le madri vegliarono a preparare con dolce cura il cibo per il viaggio, e lavarono i bambini, e fecero i bagagli, e all’alba i fili spinati erano pieni di biancheria infantile stesa al vento ad asciugare; e non dimenticarono le fasce, e i giocattoli, e i cuscini, e le cento piccole cose che esse ben sanno, e di cui i bambini hanno in ogni caso bisogno. Non fareste anche voi altrettanto? Se dovessero uccidervi domani col vostro bambino, voi non gli dareste oggi da mangiare? (…)

I vagoni erano dodici, e noi seicentocinquanta; nel mio vagone eravamo quarantacinque soltanto, ma era un vagone piccolo. Ecco dunque, sotto i nostri occhi, sotto i nostri piedi, una delle famose tradotte tedesche, quelle che non ritornano, quelle di cui, fremendo e sempre un poco increduli, avevamo così spesso sentito narrare. Proprio così, punto per punto: vagoni merci, chiusi dall’esterno, e dentro uomini donne bambini, compressi senza pietà, come merce di dozzina, in viaggio verso il nulla, in viaggio all’ingiù, verso il fondo. Questa volta dentro siamo noi. (…)

Il treno viaggiava lentamente, con lunghe soste snervanti. Dalla feritoia, vedemmo sfilare le alte rupi pallide della val d’Adige, gli ultimi nomi di città italiane. Passammo il Brennero alle dodici del secondo giorno, e tutti si alzarono in piedi, ma nessuno disse parola. Mi stava nel cuore il pensiero del ritorno, e crudelmente mi rappresentavo quale avrebbe potuto essere la inumana gioia di quell’altro passaggio, a portiere aperte, ché nessuno avrebbe desiderato fuggire, e i primi nomi italiani… e mi guardai intorno, e pensai quanti, fra quella povera polvere umana, sarebbero stati toccati dal destino.

Fra le quarantacinque persone del mio vagone, quattro soltanto hanno rivisto le loro case; e fu di gran lunga il vagone piu fortunato. Soffrivamo per la sete e il freddo: a tutte le fermate chiedevamo acqua a gran voce, o almeno un pugno di neve, ma raramente fummo uditi; i soldati della scorta allontanavano chi tentava di avvicinarsi al convoglio. Due giovani madri, coi figli ancora al seno, gemevano notte e giorno implorando acqua. Meno tormentose erano per tutti la fame, la fatica e l’insonnia, rese meno pensose dalla tensione dei nervi: ma le notti erano incubi senza fine.

Pochi sono gli uomini che sanno andare a morte con dignità, e spesso non quelli che ti aspetteresti. Pochi sanno tacere, e rispettare il silenzio altrui. Il nostro sonno inquieto era interrotto sovente da liti rumorose e futili, da imprecazioni, da calci e pugni vibrati alla cieca come difesa contro qualche contatto molesto e inevitabile. Allora qualcuno accendeva la lugubre fiammella di una candela, e rivelava, prono sul pavimento, un brulichio fosco, una materia umana confusa e continua, torpida e dolorosa, sollevata qua e là da convulsioni improvvise subito spente dalla stanchezza.

Dalla feritoia, nomi noti e ignoti di città austriache, Salisburgo, Vienna; poi cèche, infine polacche. Alla sera del quarto giorno, il freddo si fece intenso: il treno percorreva interminabili pinete nere, salendo in modo percettibile. La neve era alta. Doveva essere una linea secondaria, le stazioni erano piccole e quasi deserte. Nessuno tentava più, durante le soste, di comunicare col mondo esterno: ci sentivamo ormai “dall’altra parte”. Vi fu una lunga sosta in aperta campagna, poi la marcia riprese con estrema lentezza, e il convoglio si arrestò definitivamente, a notte alta, in mezzo a una pianura buia e silenziosa. Si vedevano, da entrambi i lati del binario, file di lumi bianchi e rossi, a perdita d’occhio; ma nulla di quel rumorio confuso che denunzia di lontano i luoghi abitati. Alla luce misera dell’ultima candela, spento il ritmo delle rotaie, spento ogni suono umano, attendemmo che qualcosa avvenisse.

Accanto a me, serrata come me fra corpo e corpo, era stata per tutto il viaggio una donna. Ci conoscevamo da molti anni, e la sventura ci aveva colti insieme, ma poco sapevamo l’uno dell’altra. Ci dicemmo allora, nell’ora della decisione, cose che non si dicono fra i vivi. Ci salutammo, e fu breve; ciascuno salutò nell’altro la vita. Non avevamo più paura. (…)

Ci apparve una vasta banchina illuminata da riflettori. Poco oltre, una fila di autocarri. Poi tutto tacque di nuovo. Qualcuno tradusse: bisognava scendere coi bagagli, e depositare questi lungo il treno. In un momento la banchina fu brulicante di ombre: ma avevamo paura di rompere quel silenzio, tutti si affaccendavano intorno ai bagagli, si cercavano, si chiamavano l’un l’altro, ma timidamente, a mezza voce. Una decina di SS stavano in disparte, l’aria indifferente, piantati a gambe larghe. A un certo momento, penetrarono fra di noi, e, con voce sommessa, con visi di pietra, presero a interrogarci rapidamente, uno per uno, in cattivo italiano. Non interrogavano tutti, solo qualcuno. “Quanti anni? Sano o malato?” e in base alla risposta ci indicavano due diverse direzioni.

Tutto era silenzioso come in un acquario, e come in certe scene di sogni. Ci saremmo attesi qualcosa di piu apocalittico: sembravano semplici agenti d’ordine. Era sconcertante e disarmante.

Qualcuno osò chiedere dei bagagli: risposero “bagagli dopo”; qualche altro non voleva lasciare la moglie: dissero “dopo di nuovo insieme”; molte madri non volevano separarsi dai figli: dissero “bene bene, stare con figlio”. Sempre con la pacata sicurezza di chi non fa che il suo ufficio di ogni giorno. (…)

Da “Se questo è un uomo” di Primo Levi – Ed, Einaudi